domenica 6 febbraio 2022

Scrivere di Miguel Hernández. Il paesaggio. La famiglia. L'infanzia

Miguel Hernández

 

Sarebbe infruttuoso, se non impossibile, scrivere di Miguel Hernández senza dapprima accennare al paesaggio di Orihuela, la piccola cittadina, non distante da Alicante, dove nacque il 10 ottobre del 1910. Orihuela sorge ai piedi di monti aspri e brulli che la proteggono dai venti dell’ovest e si affaccia su una zona ricca di orti, vigne, aranceti e campi di canapa. Per i suoi vicoli, oltre al profumo di zagare, gelsomini, magnolie e acacie, si avvertono odori di vesti, di finissimi paramenti d'altare, di favo delle candele accese, odore di cera trasudata da vecchi ex voto. Lo scrittore alicantino Gabriel Miró così la descrive in un brano del 1908:


«Il treno stava già attraversando la spianata degli orti di Orihuela. Scivolavano via gli steli della canapa, alti, stretti, oscuri; i folti aranci; i sentieri tra verdi ripe; le capanne di pietrame incalcinato e tetti di giunchi appoggiati su pali non piallati, che avevano ancora la bella ruvidezza degli alberi vivi; le stradette anguste, e lontano la carretta con il suo carico di verdure odorose; all’ombra di un olmo, due vacche con una corteccia di sterco, buttate a terra, che sgranocchiavano tenere canne di granturco; le montagne calve, che con la loro ossatura di roccia viva, arida, penetrano fino all'umido molle dei terrapieni, da cui subito si ritraggono con le gonne insanguinate dai peperoncini messi a seccare; un tratto di fiume con un vecchio mulino circondato di anatre; un folto di pioppi, di gelsi; una palma solitaria; una chiesetta con la sua croce votiva infilata nella cuspide; fumo azzurro di prode bruciate; un ampio stagno; due contadini chiusi nei loro calzoni di pelle, che maciullavano canapa con la gràmola; aranceti, alberi di paníco e, nello sfondo, sulla costa d’un monte, il Seminario, lungo, disteso, bianco, coronato di alti giunchi; mentre sotto, sul declivio, comincia la città, da cui spuntano campanili e cupole rosse, chiare, azzurre, violette, delle chiese, della cattedrale, dei monasteri; […]. Emanava dal paesaggio un odore pesante e caldo di sterco e di stabbio, un odore fresco di irrigazione, un odore acuto, fetido, che proveniva dalle vasche della canapa, e un odore aspro di canapa già secca e assestata in pagliai di forma conica».

Miguel era il terzo dei quattro figli rimasti in vita: due maschi e due femmine. Il padre era allevatore di pecore e capre e tirava avanti la famiglia con il commercio degli agnelli, del latte, delle pelli e della lana, alternando alti e bassi di quei modesti ricavi. Questo spiega perché Miguel ricevette una scarsa istruzione. Ebbe i suoi primi insegnamenti tra il 1915 e il 1916. Completò la sua formazione primaria tra il 1918 e il 1923. Nel 1924 si iscrisse al collegio di «Santo Domingo» di Orihuela tenuto dai padri gesuiti, ma molto presto dovette abbandonarlo a causa del volere del padre, uomo rude e taciturno, che non vide mai di buon occhio la vocazione letteraria di Miguel. Assieme al fratello Vicente, fu così mandato a pascolare le pecore e a distribuire il latte in paese. Pastore fin dall’infanzia, Miguel ebbe come prima scuola di vita la natura, gli animali e le piante. Soy un pastor […] un poquito poeta, scriverà in una lettera del '31 indirizzata a Juan Ramón Jiménez. E tale conoscenza del mondo naturale lo compenetrò a tal punto che sapeva riconoscere l’arrivo dell’autunno dall’umidità dell’aria e della terra o dalla linfa che si debilita nel ramoscello e nelle venature delle foglie. Oppure sapeva come i becchi si orinano nel pelo perché l’odore di orina risveglia gli appetiti erotici delle capre. Intanto, mentre accudisce il gregge, Miguel legge con avidità tutti i classici spagnoli – Gabriel Miró, Garcilaso de la Vega, Calderón de la Barca o Luis de Góngora, tra gli altri - e attorno ai sedici anni comincia a scrivere le sue prime poesie con una facilità che gli proveniva dal suo naturale dono d’osservazione minuta: Aperti, dolci sessi femminili, / o neri, o verdacchi; / minuti otri di vini violetti, / rinchiusi: genitali / e insieme ore funebri e uguali (Ode al fico). All’età di 20 anni, ricevette il Premio della Società Artistica dell’Orfeón llicitano per Canta a Valencia, una poesia di 138 versi sulla gente e il paesaggio della costa levantina.

Primo viaggio a Madrid

Sul finire del 1931 Miguel, raggranellati un po’ di soldi, parte per Madrid. È per lui una grande avventura, un atto di coraggio nel quale ripone le sue improbabili speranze, ma soprattutto l’evasione da un mondo provinciale che gli era ormai stretto. Ma l’ambiente letterario e intellettuale della capitale lo accolse con indifferenza, o meglio come una specie di poeta naïf, più pastore-poeta che poeta-pastore. E come poeta naïf lo presenta al pubblico nel gennaio del 1932 il direttore di «La Gaceta literaria», Ernesto Giménez Caballero. Trascorreva il tempo e Miguel a Madrid non trovava né gloria né lavoro, esaurendo oltretutto le sue scarse risorse economiche. Il ritorno a casa, dopo soli cinque mesi, era inevitabile. In questo lo aiutarono gli amici di Orihuela, fornendogli i mezzi economici per il biglietto ferroviario. Miguel prende il treno per il suo paese. Si sente sconfitto. In treno, per di più, gli capita un incidente spiacevole, che gli farà provare per la prima volta il sapore del carcere. Ad Alcázar de San Juan la Guardia Civil lo arresta per un giorno avendolo trovato con un documento d’identità non suo.

È in questo periodo che Miguel, impiegatosi frattanto presso un notaio di Orihuela, s’innamora, a ventiquattro anni, di una giovane ragazza di nome Josefina e che fa la sarta, incontrata più volte per strada, lungo il tragitto da casa all’ufficio. Lo colpì il suo pallore, nonché i suoi occhi e i suoi capelli nerissimi. Fa in modo di passare davanti al laboratorio, che stava al pianterreno. Finché un giorno decide di fermarla all’uscita del lavoro, chiedendole il suo nome perché voleva scriverle una poesia. Ma Josefina lo ignorava e non gli disse il suo nome. Pochi giorni dopo le consegnò una poesia che cominciava: Ser onda, oficio, niña, es de tu pelo, / nacida ya para el marero oficio; / ser graciosa y morena tu ejercicio / y tu virtud más ejemplar ser cielo. Fra i due nacque un tenero e tenace vincolo che non si sarebbe dovuto spezzare mai più (la sposerà il 9 marzo del 1937, nel mezzo della guerra civile). In questo periodo inizia la scrittura di Perito en lunas (Esperto della luna), il suo primo libro, che vede la luce il 20 gennaio del 1933.

Secondo viaggio a Madrid

Nel marzo del 1934, Miguel riparte nuovamente per Madrid, trovandovi questa volta un’occupazione abbastanza stabile all'enciclopedia taurina che uscirà in tre volumi presso la España-Calpe. Lui e Josefina potranno vedersi solo a brevi tratti, durante le fugaci visite del poeta a Orihuela. La loro storia d'amore proseguirà, quindi, per lo più, con un fitto rapporto epistolare. Le tue lettere sono un vino / che mi sconvolge e sono / l’unico alimento / per il mio cuore… E tra una lettera e l'altra, Miguel trova anche il modo di riconciliarsi con Madrid e i madrileni. Pubblica una raccolta delle sue opere. Il libro ebbe un tale successo che fu addirittura invitato a parlare all’Università di Cartagena. Nella capitale Miguel fa conoscenze importanti nell’ambiente intellettuale, i suoi versi cominciano a essere apprezzati e stringe amicizia con Vicente Aleixandre, García Lorca e Pablo Neruda, con il quale instaurerà un profondissimo legame. Con loro, Miguel, oltre alla creatività letteraria, lo univa il desiderio di combattere l’ingiustizia sociale. Egli, infatti, conosceva bene le difficoltà della vita dei poveri, quindi si avvicinò alle idee comuniste, che in seguito approvò, facendole proprie. Ma non ebbe fretta di unirsi al partito. Insieme ai suoi amici e collaboratori, già durante la guerra visitò Mosca, la capitale del primo stato socialista. Una sentimentale conoscenza con la pittrice Maruja Mallo, lo spinse a scrivere molti dei sonetti di El rayo que no cesa (Il fulmine che non si ferma mai) del 1936.

La guerra civile (1936 – 1939)

Allo scoppio della guerra civile Miguel si arruola come volontario nel 5° reggimento delle Milizie Popolari repubblichine. Ma non amò mai la guerra. Questa lo colpì negli affetti, nelle sue radici, nella terra che considerava il suo grembo, nel suo popolo sventurato quanto fiero e coraggioso. Gli portò via tragicamente molti dei suoi amici, altri ne disperse. Gli strappò umanità, gioventù, speranze, futuro. Nei tre anni di guerra, nonostante la fatica di scavare trincee, lavorò e produsse moltissimo: due raccolte di versi, quattro atti unici, articoli, abbozzi, interventi alla radio. La consapevole adesione ai principî rivoluzionari e socialisti non poteva mai essere separata dal suo impegno culturale. Viento del pueblo, raccolta di poesie, canti, odi ed elegie, fu scritto in trincea, tra un’operazione militare e una pausa dopo i combattimenti, talvolta con il sottofondo di fragore e fumo dei bombardamenti, di cui ogni verso è intriso. Un vento di passione e d’amore spinge il poeta a cantare le ansie, i dolori, le grida di rivolta, i lamenti, le lacrime della gente. Il contadino, prima e più del proletario, evidenzia con la sua costante presenza una storia universale di terra e di uomini. L'altra raccolta è El hombre acecha, composta tra il '37 e il '39, quando lo spettacolo quotidiano del dolore, i presagi per la sconfitta, l'incrudelirsi della guerra avevano scavato un profondo solco nel suo cuore. In mezzo, la morte prematura del primo figlio Manuel Ramón e la nascita di Manuel Miguel, che solo in parte compensò il trauma di quella perdita. Colpisce in quest’ultima raccolta la coscienza del dramma umano e famigliare del poeta, che lo vede proiettato in quello collettivo in forma sempre più tragica, disperante. Non c’è rinuncia o sfiducia per l’ideale politico, pentimento per le scelte fatte. Si avvertono, tuttavia, note più dolenti, un attenuarsi dell’ottimismo, dell'impeto guerresco che aveva contrassegnato la precedente raccolta.

Il carcere e la morte

Il 29 marzo del 1939, con l'entrata della truppe franchiste a Madrid, ha praticamente termine la guerra spagnola. In tutta la Spagna si estesero le terribili persecuzioni contro i “rossi”, in sostanza contro tutti i soldati repubblicani. Cessato il conflitto, Miguel provò di raggiungere il Portogallo, dopo aver tentato vari spostamenti interni alla Spagna, compreso Orihuela. Il 29 aprile, da Huelva, città vicina al confine portoghese, scrisse a Josefina di tenersi pronta a partire, egli l’avrebbe chiamata non appena fosse stato possibile ricongiungersi. Da solo riuscì ad attraversare il confine portoghese. Si accingeva a salire su un treno per Lisbona, quando la polizia portoghese l’arrestò e lo consegnò alle guardie civili della vicina Rosal de la Frontera. Pare che Miguel avesse commesso l’ingenuità di vendere a un portoghese la sua tuta turchina dei miliziani. La guardia civile spagnola lo trattenne otto giorni a Rosal bastonandolo di continuo. Comincia la prima parte della sua odissea carceraria: anzitutto a Siviglia, poi alla prigione di Torrijos di Madrid (dal 18 maggio).

Le carceri si trascinano l’umidità del mondo,

vanno per la tenebrosa strada dei tribunali:

cercano un uomo, cercano un popolo, lo perseguitano,

lo assorbono, lo ingoiano.

[…]

Scrive a Josefina raccontando la sua vita di prigioniero: Ho veduto la gente attorno a me disperarsi e ho imparato a non disperarmi io stesso, ma soprattutto, manifestando le sue preoccupazioni per il figlio, la moglie e i famigliari tutti. Improvvisamente, verso la metà di settembre, Miguel esce di prigione, in libertà provvisoria. Per quale misteriosa ragione viene scarcerato? C’è chi dice per un errore burocratico; c’è chi dice in seguito a un decreto governativo che ordinava di ratificare le condanne dei detenuti già processati e di rimettere in libertà quelli ancora non condannati; c’è, infine, chi asserisce che la scarcerazione sia da attribuirsi a un intervento del cardinale Baudrillart presso Franco, dietro pressione di Neruda. Di quest’ultima tesi esistono varie documentazioni epistolari. Appena uscito dal carcere, Miguel si reca all’ Ambasciata cilena per chiedere asilo politico per poi emigrare nel paese sudamericano. Ma, sorprendentemente, l’asilo politico col relativo visto gli fu negato, forse perché Miguel «aveva scritto poesie ingiuriose contro il generale Franco» (Neruda) o, quasi certamente, perché si trattava di un personaggio più noto e «compromesso» degli altri. Non dando ascolto al consiglio di amici e parenti, Miguel fa ritorno nella sua Orihuela: errore fatale, perché il 29 settembre del '39 viene nuovamente arrestato e rinchiuso nel Seminario di Orihuela, trasformato in prigione. Passerà giorni durissimi, soffrendo la fame. In preda alla disperazione, in una lettera indirizzata alla moglie, le chiede di non venire a visitarlo col figlio, perché nel parlatorio sarebbero stati come “due cani che si abbaiano uno contro l’altro, senza comprendersi”. Fu trasferito poi a Madrid, dove il 18 gennaio del '40, con un processo privo di garanzia giuridica, fu condannato a morte da un Consiglio di Guerra. Ma a luglio la pena di morte gli viene commutata a trent’anni di reclusione. Viene trasferito in più prigioni, fino ad approdare nel giugno del 1941 riformatorio de Adultos di Alicante. In dicembre si manifesta una grave affezione polmonare che si complica in tubercolosi. Le sue condizioni sono aggravate ulteriormente dalla denutrizione, dalla carenza di cure e dal fisico sempre più debilitato per gli stenti. Il 4 marzo del 1942, sposa la sua Josefina con rito religioso. Il 28 marzo di quello stesso anno, Miguel Hernández, a 32 anni, esala il suo ultimo respiro. Neruda ne provò un grande dolore, testimoniato da questi versi di una poesia dedicata all’amico poeta “assassinato”: Sappiano quelli che ti uccisero che pagheranno col sangue. / Sappiano quelli che ti torturarono che mi vedranno un giorno. / Sappiano i maledetti che oggi includono il tuo nome / nei loro libri, i Dámasi, i Gerardi, i figli / di cane, complici silenziosi del carnefice, / che non sarà cancellato il tuo martirio, e la tua morte / cadrà su tutta la loro luna di vigliacchi.

Riporto qui di seguito alcuni dei suoi versi più significativi.

I venti del popolo mi portano

[…]

Se muoio, ch’io muoia

con la fronte molto alta.

Morto e venti volte morto,

la bocca contro la gramigna,

terrò i denti stretti

e barba risoluta.

Cantando attendo la morte,

poiché ci sono usignoli che cantano

in bocca ai fucili

e in mezzo alle battaglie.


(da: Viento del pueblo)


Il fulmine che non si ferma mai

Non cesserà questo raggio che mi abita

Il cuore delle bestie esasperate

e di fucine e fabbri adirati

dove appassisce il metallo più freddo?

Questa stalattite ostinata non cesserà

per coltivare i loro capelli duri

come spade e rigidi falò

verso il mio cuore che geme e urla?

[…]


(da: El rayo que no cesa)


Mani

Due specie di mani si affrontano nella vita,

spuntano dal cuore, irrompono per le braccia,

balzano, e sbocciano sul giorno ferito

a colpi, a unghiate.

La mano è l'attrezzo dell’anima, il suo messaggio,

e il corpo ha in essa la sua stirpe guerriera.

Alzate, muovete le mani in un grande mareggio,

uomini della mia semenza.

[…]


(da: Viento del pueblo)


Braccianti

Braccianti che avete riscosso in piombo

Patimenti, fatiche e denari.

Corpi di sottomesse e nobili schiene:

braccianti.

Spagnoli che avete guadagnato la Spagna

Lavorandola tra piogge e canicole.

Capipastore della fame e dell'aratro:

spagnoli.

[…]


(da: Viento del pueblo)


Popolo

Ma cosa sono le armi: chi ha detto che possono?

Sono segno di codardìa: le armi migliori

sono quelle con proiettile d’osso.

Guàrdati le mani.

Le mitragliatrici, gli aeroplani, o popolo:

tutti gli armamenti sono niente se schierati

dinanzi all'ostinata fierezza che spira

nel tuo scheletro saldo.

[…]


(da: El hombre acecha)


Canzone ultima

Dipinta, non vuota:

dipinta è la mia casa

col colore delle grandi

passioni e sventure.

Ritornerà dal pianto

dove fu portata

con la sua deserta mensa,

con il suo letto disgraziato.

Fioriranno i baci

sopra i guanciali.

E intorno ai corpi

solleverà il lenzuolo

la sua campanula penetrante

notturna, profumata.

L'odio s'acqueta

dietro la finestra.

Si ammansirà l'artiglio.

Lasciatemi la speranza.


(da: El hombre acecha)



ho chiesto alle mie gambe

ho chiesto alle mie gambe
di non correre sulla salita
che in cima sì prima di sera
avrei visto il mare

ma distante per abbracciarlo.


(da: Luminol - 2018)

venerdì 3 dicembre 2021

si sta facendo scuro



                                       

                                                          Non andartene docile in quella buona notte.

                                                                       Infuriati, infuriati contro il morire della luce!

                                                                                  (Dylan Thomas)



si sta facendo scuro

su questo vecchio continente


i fiumi straripano

la fiamma non riconosce la legna

e il coltello non taglia il pane


accendiamo la luce!


di là del cancello

una calca d’ombre s'appressa

fradicie di morti

con occhi arsi

e la calligrafia di Cristo sulla pelle


pane ai denti

e un ticket al chiosco della fortuna 

chiedono


e dei pastelli


in braccio

hanno piccole ombre tristi

da colorare


accendiamo la luce!



Versi tratti da "Luminol" del 2018, che ben si addicono all'attuale tragedia di migliaia di migranti, abbandonati al loro destino in una foresta al confine tra Polonia e Bielorussia.




mercoledì 1 dicembre 2021

CECCO D'ASCOLI: L'ANTAGONISTA DI DANTE




Cecco d'Ascoli



In questo 2021, che volge ormai al termine, si sono celebrati ovunque, con una moltitudine di cerimonie commemorative, i 700 anni dalla morte di Dante, avvenuta nella notte tra il 13 e il 14 settembre del 1321. In coda alle doverose celebrazioni per il Sommo Poeta, mi piace qui, a mo’ di sana provocazione, ricordare un altro esponente del panorama culturale medievale, che, poco considerato dai critici d’gni tempo, ebbe nondimeno l’ardire di criticare la Comedìa Divina del suo più illustre coevo: Cecco d’Ascoli, uomo di alto ingegno umanistico, medico, astrologo e astronomo, poiché nel XIV° sec. non vi era differenza tra le due discipline. 

Cenni biografici. 

Cecco d’ascoli nacque ad Ancarano, nella diocesi di Ascoli, nel 1269 (la data del 1257, da alcune fonti citata, trova tra gli studiosi consensi minoritari), figlio di Emindia e di Maestro Simone degli Stabili, affermato avvocato ascolano. Ad Ascoli Cecco trascorse gli anni della sua giovinezza. A diciott’anni entrò nel monastero di Santa Croce ad Templum, a quel tempo un influente centro ispiratore della dottrina occulta templare. 

Nel 1320 ottenne la cattedra di Medicina presso l’Università di Bologna. Nello stesso ateneo gli fu assegnata anche la cattedra di Astrologia, dalla quale commentava alle matricole il “De Sphaera Mundi” di Johannes de Sacrobosco, illustre matematico, astronomo e astrologo inglese. In quello stesso periodo, Papa Giovanni XXII lo volle ad Avignone come suo medico personale. Tale nomina attirò nei suoi confronti forti invidie e accese gelosie di medici ed ecclesiastici che, tra l’altro, lo accusarono anche di avere simpatie ghibelline. Questo clima fumoso costrinse Cecco ad allontanarsi amaramente da Avignone. Tornato alla sua vecchia cattedra bolognese, nel 1324 arrivò una prima condanna per eresia, da parte dell’Inquisitore domenicano Lamberto da Cingoli, per i contenuti relativi al suo Tractatus in Sphaeram. La pena consistette in una grossa multa, nella perdita dell’insegnamento, nel sequestro di tutti i suoi libri e nell’obbligo quotidiano di recitare preghiere penitenziali. Ma tale fu la pressione degli studenti e dei colleghi che l’ammiravano, che nel 1325 Cecco fu posto nuovamente alla cattedra bolognese addirittura con una promozione di livello. Questo non lo ripagò. E addolorato ancora per l’ingiusta sentenza e temendo, soprattutto, che il suo libero pensare, specie sulla vita religiosa di quel tempo, lo facesse cadere ancora nelle strette maglie dell’Inquisizione, decise di cambiare aria a città. Si portò, quindi, a Firenze, alla corte del duca di Calabria Carlo II d’Angiò, in quel frangente signore della città. Dal 12 marzo al 31 maggio del 1327, Cecco fu nel libro paga del duca per le sue funzioni di “phisicus et familiaris”. Il soggiorno fiorentino fu per lui occasione di conoscenza e amicizia con Dante e altri illustri poeti dell’epoca. Col tempo, non tardarono nuove gelosie, in particolar modo le ostilità dei medici fiorentini, capeggiati “in primis” da Dino del Garbo che odiava a morte Cecco. La loro rivalità risale al periodo bolognese, quando Cecco accusò il Del Garbo di plagio nelle sue lezioni, facendolo così destituire dall’insegnamento. 

Nel 1326, al duca Carlo II d’Angiò nacque una figlia e commissionò a Cecco un oroscopo su quelle che sarebbero state le caratteristiche della bambina negli anni a venire ma, ancora una volta, l’ascolano non seppe colmare la sua innata lacuna in materia di diplomazia, così come dettavano le regole del buon vivere. Il suo responso astrologico sulla piccola futura regina Giovanna I fu che, seppur crescendo bella e intelligente e a un trono destinata, una sfrenata lussuria l’avrebbe condotta al precipizio. Ciò indispettì molto il duca al quale non piacque la sua “riposta”, pur risultando, in seguito, veritiera la profezia. 

La sua schiettezza di pensiero e le controversie di corte condussero Cecco nuovamente nella rete del Santo Uffizio. Questa volta l’Inquisitore fu un frate di nome Accursio Bonfantini, arcivescovo di Cosenza che, quale primo lettore pubblico di Dante, già nutriva astio nei confronti di Cecco, non avendo apprezzate le critiche a Dante da parte dell’ascolano. Nel luglio del 1327, un incaricato venne inviato a Bologna per ritirare una copia della sentenza di condanna del 1324 e con essa integrare e il capo d’accusa della redigenda nuova sentenza. “…Noi frate Accusio fiorentino dell’ordine de’ frati minori conventuali per autorità apostolica Inquisitore dell’Eresia nella provincia di Toscana facciamo palese a tutti li buoni christiani come esercitando l’offizio commessoci dello Inquisitore: precedente la fama publica o per dir meglio infamia sparsa da molte persone degne di fede ci venne all’orrecchio, che Maestro Cecco figliuolo di Maestro Simone Stabili da Ascoli andava spargendo per la città di Firenze molte eresie con danno e pericolo non picciolo dell’anima sua e degli altri; e, quello che è cosa più brutta, dava a leggere per le scuole publiche un certo suo eretico e brutto libretto fatto da lui sopra la sfera celeste…” La sentenza, che fece riferimento anche a un altro libretto in lingua volgare intitolato Acerba, così concludeva: “deliberiamo et comandiamo per sententia doversi abbruciare et all’Heretico desiderando tagliare le vene della fronte pestifera”. Cecco non abiurò e non potendo più contare sull’appoggio di Carlo II d’Angiò, che non voleva inimicarsi il Papa, venne condannato al rogo come eretico. La sentenza venne resa pubblica il 15 settembre del 1327 nel coro di Santa Croce e il giorno seguente Cecco d’Ascoli venne arso davanti alla basilica di Santa Croce, insieme a tutte le sue opere, gridando tra le fiamme: “L’ho detto, l’ho insegnato, lo credo!”. Fortunatamente degli estimatori salvarono alcune copie dei suoi manoscritti come il trattato De quodam modo phisinomiae e il commento De principiis astrologiae. Ma soprattutto salvarono la sua opera più grandiosa: L’Acerba. Sulla fortuna di Cecco negli autori successivi, molto resta ancora da indagare. Tuttavia, l’esempio più celebre di quanto la sua opera abbia destato ammirazione nei poeti del suo tempo è quello del Petrarca che fa un uso ampio di stilemi de L’Acerba nei Rerum vulgarium fragmenta

L’Acerba e l’antagonismo con Dante.

Che cos’è L’Acerba di Cecco d’Ascoli, un libro che sino alla metà del ‘500 conobbe più edizioni a stampa della Divina Commedia di Dante? Innanzitutto essa è un’opera di poesia scritta in lingua volgare, divisa in 5 libri per un totale di 4867 versi in sestine. Ma è anche un trattato scientifico e tale era ritenuto nel tardo Medioevo. Del resto, Cecco d’Ascoli fu medico di Papa Giovanni XXII, astrologo alla corte di Carlo II d’Angiò, professore all’Università di Bologna, alchimista. Alla luce di ciò, formulargli un’accusa di eresia non fu difficile. Basti ricordare che Cecco, con i suoi scritti, poteva indurre a pensare che l’agire di Cristo in terra fosse dovuto all’influenza degli astri e non al fatto che fosse il Figlio di Dio. Sul titolo, possiamo dire che con il termine Acerba, riduzione del titolo completo di Acerba etas, “acerba vita”, l’autore intendesse riferirsi alle questioni inerenti la vita mondana, acerba rispetto a quella matura, raggiungibile solo dopo la morte. Il libro fu pubblicato per la prima volta a Brescia nel 1473 per i tipi di Tommaso Ferrando. Ebbe più di cento edizioni fino al 1581, anno della Controriforma e inzio dell’oblìo dell’opera che non venne più ristampata fino al 1820. 

Nell’Acerba è racchiuso un insegnamento rispettoso della verità della scienza del tempo che l’autore, semplificandola, attinge non soltanto dalle idee filosofiche e scientifiche di Aristotele o Tommaso d’Aquino, ma anche attraverso la studio e la conoscenza del pensiero dei pensatori arabi dell’epoca. Una grande esposizione che abbraccia l’ordine dei cieli, della terra, delle eclissi, dei fenomeni atmosferici, dell’anima, delle virtù, della fortuna. Egli si scaglia contro la poesia fatta di favole e il suo bersaglio preferito è la Commedia di Dante, che è vista da Cecco come la negazione della “scienza vera”. Dante viene accusato di nascondere la vertià tra i veli dell’allegoria, nelle favole appunto. Per questo, Gianfranco Contini, considerò L’Acerba una vera e propria “anti-Commedia”. Se ne ha un fulgido esempio in questi versi tratti dal libro IV, cap. XII dell’opera: 

 “Qui non se canta al modo de le rane; 
 Qui non se canta al modo del poeta, 
 Che finge, imaginando, cose vane. 
 Ma qui resplende e luce onne natura, 
 Che a chi intende fa la mente lieta. 
 Qui non se gira per la selva obscura; 

 Qui non veggio Paulo né Francesca; 
 De li Manfredi non veggio Alberigo, 
 Che diè l’amari fructi ne la dolce esca; 
 Del Mastin vecchio e novo da Verucchio, 
 Che fece de Montagna, qui non dico, 
 Né de’ Franceschi lo sanguigno mucchio. 

Non veggio el Conte che, per ira et asto, 
Ten forte l’arcevescovo Rugero, 
Prendendo del so ceffo el fero pasto. 
Non veggio qui squadrar a Dio le fiche, 
Lasso le ciance e torno su nel vero, 
Le fabule me furon sempre nimiche. 

El nostro fine è de vedere Osanna. 
Per nostra sancta fede a Lui se sale, 
E senza fede l’opera se danna. 
Al sancto regno de l’eterna pace 
Convence de salire per le tre scale, 
Ove l’umana salute non tace, 
A ciò ch’io veggia con l’alme divine, 
El sommo Bene de l’eterna fine.“ 

Il poema rimase incompiuto. La parte preponderante risulta scritta a Firenze alla corte del Duca di Calabria. Gli ultimi capitoli, invece, furono scritti in carcere dal 17 luglio al 15 settembre (il 16 venne “giustiziato”). Dell’ultimo libro rimangono poco più di cento versi… le fiamme interruppero l’opera così come la sua vita. 

Fra le opere di Cecco d’Ascoli, oltre al più famoso L’Acerba, sono da ricordare il “De principiis astrologiae”; il “De eccentricis et epicyclis”, probabilmente il testo di una lezione di astromomia tenuta a Bologna nel 1324; i “Commentarii in sphaeram Joannis de Sacrobosco”. Quest’ultimo, come già accennato, per alcuni concetti in esso contenuti, relativi ai demoni e a certi incantesimi, fu addotto in giudizio come prova a suo carico al processo che subì a Firenze.


Antica stampa de L'Acerba


venerdì 1 ottobre 2021

"Canale Mussolini", ovvero l'altra faccia del fascismo. Alla memoria di Antonio Pennacchi




http://www.orizzonticulturali.it/it_recensioni_Giovanni-Abbate.html


Un mio articolo, apparso su "Orizzonti culturali italo-romeni", recante una mia "lettura" su Canale Mussolini (premio Strega 2010), nel ricordo di Antonio Pennacchi, scomparso il 3 agosto 2021.

Scrivere di Miguel Hernández. Il paesaggio. La famiglia. L'infanzia

Miguel Hernández   Sarebbe infruttuoso, se non impossibile, scrivere di Miguel Hernández senza dapprima accennare al paesaggio di Orihuela, ...